Le strade pubbliche sono opere che la P.A. ha l’obbligo di mantenere in buono stato di conservazione e sulla cui efficienza e sicurezza ha l’obbligo di vigilare. L’esistenza di una situazione di insidia stradale non visibile e non percepibile da parte dell’utente medio determina la responsabilità dell’Ente per i danni prodotti.
In giurisprudenza è pacifico il principio secondo cui l’ente proprietario ha l’obbligo di mantenere la strada in condizioni che non costituiscano per l’utente (che fa ragionevole affidamento sulla sua apparente regolarità) una situazione di pericolo occulto, caratterizzata oggettivamente dalla non visibilità e soggettivamente dalla non prevedibilità del pericolo.
La demanialità del bene, l’essere adibito ad uso generale e la sua notevole estensione non comportano di per sé l’esclusione dell’applicabilità della norma dell’art. 2051 c.c., ma implicano soltanto che, nell’applicazione di tale norma e, quindi, nell’individuazione delle condizioni alle quali la pubblica amministrazione può ritenersi esente da responsabilità in base ad essa, quelle caratteristiche devono indurre ad una particolare valutazione delle condizioni normativamente previste per tale applicazione, in modo che venga considerata la possibilità che la situazione pericolosa originatasi dal bene può determinarsi in vari modi, i quali non si rapportano tutti alla stessa maniera con le implicazioni che comporta il dovere di custodia della P.A. in relazione al bene di cui trattasi e particolarmente quello di vigilare affinché dalla cosa o sulla cosa non si origini quella situazione.
Dunque, va rimarcato come la prova liberatoria, di cui all’art. 2051 c.c., operi primariamente sul piano della causalità giuridica, e cioè debba avere per oggetto un fatto eccezionale, totalmente imprevedibile ed inevitabile da parte del soggetto evocato in giudizio. Che l’Ente, al fine di andare esente da responsabilità ex art. 2051 c.c., debba provare la propria estraneità, sul piano della sequenza causale, delle condotte che le vengono imputate (omessa o carente manutenzione; omessa o superficiale vigilanza; omessa o inadeguata segnalazione del pericolo), è stato chiarito dalla Cassazione in più occasioni. Tuttavia, ai fini della configurabilità del caso fortuito, parte convenuta è tenuta a provare l’estraneità della res nella sequenza causale da cui è scaturito il danno, a prescindere dalla sua eventuale diligenza. In altri termini, ai fini della configurabilità dell’esimente del caso fortuito, non rileva in alcun modo il grado di diligenza impiegato nella custodia, bensì solo l’esistenza di altre cause, esterne alla res ed alla sfera del custode, che abbiano cagionato autonomamente l’evento dannoso: difatti, solo il “fatto della cosa” è rilevante (e non il fatto dell’uomo). La responsabilità si fonda sul mero rapporto di custodia e solo sullo stato di fatto (Tribunale di Teramo 24/07/09).
Riassumendo, la responsabilità per i danni provocati da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., trova applicazione anche in relazione ai beni demaniali; affinché il custode possa andare esente dalla responsabilità occorre avere riguardo non tanto all’estensione di tali beni, quanto alla concreta possibilità di esercitare un potere di controllo e di vigilanza su di essi, che deve essere oggetto di indagine mirata.
In fattispecie nelle quali non vi è la presenza diretta di testimoni, la causa va “sempre individuata presuntivamente in relazione al contesto” (Cass. 16 aprile 2013 n. 9140). Il Tribunale di Torino sez. IV, con sentenza 18 novembre 2013 n. 6712, ha correttamente rilevato che rappresenta “prova presuntiva idonea l’aver visto la parte nell’immediatezza del fatto davanti alla buca”: un soccorritore che abbia visto il danneggiato pochi minuti dopo il fatto, intervenendo sul luogo del sinistro, e che in giudizio confermi quanto visto costituisce senz’altro dato di fatto rilevante ai fini della prova da fornire, ovvero dell’accadimento del sinistro nel luogo e con le modalità indicati.
Quindi, la prova del fatto storico e della responsabilità può essere fornita attraverso prove indirette, atteso peraltro che la presenza di un teste oculare che assista visivamente al sinistro è evento raro e del tutto accidentale, soprattutto se il tratto in questione non è sito nel centro urbano.
Secondo un recente arresto della Suprema Corte, “tale prova consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, e può essere data anche con presunzioni, giacché la prova del danno è di per sé indice della sussistenza di un risultato ‘anomalo’, e cioè dell’obiettiva deviazione dal modello di condotta improntato ad adeguata diligenza che normalmente evita il danno” (Cass. 9 giugno 2016 n. 11802).
La prova presuntiva, di rango non inferiore alle altre, consente di risalire dalle circostanze di fatto note e provate a quello ignoto, ovvero il nesso di causalità tra la cosa in custodia e il fatto dannoso. E’ infatti noto che la presunzione semplice ex art. 2729 c.c., cioè il ragionamento logico lasciato al prudente apprezzamento del Giudice che consente allo stesso di desumere l’esistenza di un fatto ignoto (nesso di causa) muovendo da un fatto noto (le circostanze acquisite in giudizio), non comporta che la presunzione possa essere ammessa soltanto allorché il fatto ignorato sia l’unica conseguenza possibile del fatto noto, essendo sufficiente un rapporto di probabilità logica tra i due fatti secondo un criterio di normalità alla stregua dell’id quod plerumque accidit (Cass. 5 febbraio 2014 n. 2632; Cass. 10 aprile 2013 n. 22898).
In questa prospettiva, è chiaro il ragionamento che opera alcuna giurisprudenza di legittimità, in forza del quale, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2051 c.c., “il nesso causale fra la situazione di pericolo ed il danno può essere desunto dalla mera contestualità temporale e spaziale, e dalla logica e normale consequenzialità, fra la suddetta situazione ed il tipo di evento che si è verificato” (Cass. 29 dicembre 2009 n. 27635).
Ad ogni modo, anche a voler imputare alla pubblica amministrazione un mero difetto di manutenzione, la stessa sarà comunque chiamata a rispondere dei danni derivanti dall’insidia stradale ex art. 2043 c.c. in quanto l‘eventus damni è riferibile ad un pericolo oggettivamente non visibile e soggettivamente non prevedibile (Cass. Civ. N. 15384/2006; Tribunale Varese, 12 gennaio 2005). “In questo caso graverà sul danneggiato l’onere della prova dell’anomalia del bene demaniale (e segnatamente della strada), fatto di per sè idoneo a configurare il comportamento colposo della P.A., sulla quale ricade l’onere della prova dei fatti impeditivi della propria responsabilità” (Cass. n. 15384/2006).
Responsabilità dell’Ente proprietario della strada
