La giurisprudenza valuta in modo rigoroso la responsabilità dell’avvocato, riguardo all’aspetto preliminare dello studio della controversia, arrivando a configurare responsabilità professionale anche in ipotesi di colpa lieve, ove vengano in considerazione istituti giuridici essenziali, la cui disciplina l’avvocato non può ignorare. Il conferimento dell’incarico comporta, per l’avvocato, il dovere di inquadrare correttamente la fattispecie sottoposta alla sua attenzione, rilevando elementi favorevoli e sfavorevoli per il proprio assistito, oltre che a seguito dell’applicazione delle regole di deontologia, anche in virtù delle clausole generali di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ.
La Corte di Cassazione afferma che la responsabilità professionale dell’avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza media esigibile ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c. Eladdove questa violazione consista nell’adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, non è né esclusa né ridotta per la circostanza che l’adozione di tali mezzi sia stata sollecitata dal cliente stesso, essendo compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale. Del resto, afferma la Suprema Corte, l’avvocato è tenuto ad assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che durante lo svolgimento del rapporto, non solo al dovere di informazione del cliente ma anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione dello stesso – dovendo, tra l’altro – sconsigliare il cliente dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole.
L’avvocato che rappresenta la parte in giudizio conclude, con la parte stessa, un contratto di mandato, il cui oggetto è il compimento di tutte le attività necessarie per far ottenere al cliente il bene della vita. In caso di proposizione di azione giudiziale, l’avvocato non è certamente tenuto a garantire (e, conseguentemente, a rispondere per l’omessa) vittoria, ma è certamente inadempiente se, a causa di un errore, la domanda venga rigettata in tutto o in parte, ovvero se l’azione risulti inutilmente promossa.
In caso di inadempimento di non scarsa importanza, il cliente può chiedere la risoluzione del contratto, ex art. 1453 e 1455 c.c., ovvero, secondo altra parte della giurisprudenza, l’accertamento della perdita del diritto al compenso in applicazione del principio di cui all’art. 1460 cod. civ., fermo il diritto, in entrambi i casi, al risarcimento del danno (Cass. n. 5928/02; n. 16658/07).
Non va dimenticato che, di regola, il rapporto tra cliente e avvocato è caratterizzato da uno stato di inferiorità del cliente, il quale, non essendo dotato delle necessarie nozioni tecniche, versa nell’incapacità di operare una selezione tra le notizie a sua conoscenza, individuando autonomamente quelle che hanno rilevanza giuridica. Incombe pertanto sull’avvocato l’obbligo di verificare sempre le notizie ed i dati forniti dal cliente e di ottenere le informazioni indispensabili per lo svolgimento dell’incarico.
Sul punto, va osservato che la giurisprudenza della Cassazione più recente, in tema di nesso di causalità, non richiede la prova certa ed incontestabile che il diverso comportamento avrebbe scongiurato il danno, accontentandosi del meno rigoroso criterio del “più probabile che non”. L’affermazione della responsabilità professionale dell’avvocato non implica l’indagine sul sicuro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta o diligentemente coltivata e, perciò, la certezza morale che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati vantaggiosi per il cliente. Ne consegue che, al criterio della certezza della condotta, può sostituirsi quello della probabilità di tali effetti e della idoneità della condotta a produrli (Cass. Civ. N. 8151/2008; Cass. 18 aprile 2007 n. 9238).
“La responsabilità professionale dell’avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1176 cod. civ., comma 2, da commisurare alla natura dell’attività esercitata. Inoltre, non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente, il danno derivante da eventuali sue omissioni … è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito, secondo un’indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici” (Cass. 27 marzo 2006 n. 6967, 26 febbraio 2002 n. 2836).
La responsabilità professionale dell’avvocato
